Simonetta Cattaneo, la purezza del bello e del sublime racchiusa nella Venere del Botticelli.

Simonetta rappresenta un’icona di bellezza che nei secoli ha incantato e incanterà generazioni intere. Il segreto del suo fascino ammaliante sta nel candore dell’immagine, misto alla percezione della flebilità dell’incantesimo, così come della vita stessa.

La figura di questa donna, tanto misteriosa quanto prorompente, ha stimolato l’inventiva e la produzione di molti artisti, pittori e letterati.

Nel 1515 Piero di Cosimo dipinge questo ritratto conservato al Museo Condé a Chantilly. Quando Piero esegue l’opera Simonetta è già morta, a soli 23 anni nel 1476, e il pittore è costretto a utilizzare una medaglia con la sua effige come modello. Il profilo della donna emerge su un paesaggio in tempesta, ricco di simboli che rimandano alla sua morte prematura: l’albero secco a sinistra e le cupe nuvole del tramonto. Anche il serpente che si avvolge intorno alla collana d’oro allude al tema della morte, ma Simonetta scruta avanti fiera, nulla la distoglie dal suo sguardo verso l’eternità.

Narrano le cronache che il giorno del suo funerale, adagiata su una lettiga coperta di fiori, Simonetta fu portata per le vie di Firenze a bara aperta, per dimostrare come neppure la malattia fosse riuscita ad alterarne la bellezza, restando per sempre musa di pittori e poeti. Nel 1913, quattrocento anni dopo, ancora Simonetta fa capolino in un’opera del tempo scritta da Gabriele d’Annunzio: “Leda senza Cigno”.

«Rare parole, passi lenti, gravi pensieri: le torri del Castello allungavano l’ombra su i bacini e su gli spiazzi. Laggiù, forme taciturne della sera, un cigno attraversava uno stagno, una cerva attraversava un viale. Laggiù, in una sala deserta, il serpe grazioso si dislacciava dal collo della Simonetta e le si moltiplicava nei capelli ornati. Il bel capo genovese si faceva irto e sibilante come quello della Gorgone, e sovr’esso la nuvola del destino si gonfiava di minaccia.»

L’immagine di Simonetta evoca la vulnerabilità della bellezza, minacciata dalla contingenza delle cose terrene, dalla materialità dell’esistenza legata indissolubilmente alla sofferenza e al dolore. Il racconto di D’Annunzio, pubblicato a puntate sul “Corriere della sera”, narra la storia di una giovane donna e delle sue delusioni. La vita è dominata da una fatalità chiusa che le impedisce di sollevarsi sulle meschinità del vivere quotidiano. Inevitabile la rinuncia a sogni e aspirazioni. Il testo, strutturato nella forma del racconto nel racconto, si conclude con il suicidio della protagonista.

Brano tratto da “La Diva Simonetta” di Giovanna Strano:

«Firenze XXVI aprile 1476

Illustrissimo messere Lorenzo de’ Medici

La benedetta anima della Simonetta se ne andò a paradiso, come so harette inteso: puossi ben dire che sia stato il secondo

Trionpho della morte, che veramente havendola voi vista così morta come la era, non vi saria parsa manco bella e vezzosa

che si fusse in vita.

Vostro umile servitore

Sforza Bettini»

Lorenzo si prostrò dalla sofferenza leggendo la missiva, mentre si trovava a Pisa. Pianse soffrendo al pensiero che

forse non aveva fatto tutto quello che era necessario per salvarla.

Pensò a suo fratello, affranto dal dolore, e si mise subito in viaggio per poterla rivedere ancora.

Bellissima anche nella morte, Simonetta attraversò Firenze nella sua bara a volto scoperto, abbigliata di bianco come una sposa. L’estremo omaggio alla sua bellezza fu disposto dalla Signoria con un trattamento che veniva riservato a personaggi speciali, ai quali era consentito di raggiungere la tomba vestiti e scoperti.

Per l’ultima volta la città di Firenze si strinse commossa intorno a lei, piangendo, la scortò alla sepoltura nella chiesa di Ognissanti. Venne seppellita nella cappella di Giuliano Vespucci, nonno di Marco, indicata come altare della Madonna

del Presepe. Nella mano stringeva la conchiglia proveniente da Portovenere che il suo amato le aveva donato per preservarla alla morte.

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